La friabilità del materiale da costruzione che qui, in precedenza, fu sempre tufo locale, trachitico, poco resistente agli agenti atmosferici; l’opera dei vandali, dei Saraceni e dei coloni medioevali hanno fatto sì, che non si possono aggi ammirare resti importanti di costruzioni romane.
Torniamo su quel grazioso promontorio. Si chima così, prchè un’antica chiesina era dedicata alla natività della Vergine e nel secolo XVIII la cappella fu ricostruita più ampia e ariosa. Lasciando a destra la Torre, inoltriamoci nella breve strada che mena al faro e al Cimitero. Il vecchio e piccolo faro borbonico si trova all’estrema punta della collina, nel luogo detto ancora batteria, ove i Borboni avevano postato un mortaio di difesa con l’immancabile sentinella a guardia dell’ imboccatura della rada. Il cimitero fu, invece, costruito nel secolo 800 dal sindaco Vincenzo De Luca, vero padre della Patria e l’iscrizione posta all’ ingresso del recinto benedetto reca:”Sulle rovine d’antica necropoli…” È errato …qui invece fu una villa d’ Augusto, di cui fa menzione il catalogo della propietà dell’ Imperatore e la cui sontuosità è indice della sua apparetenenza. Tutto ciò che ti espongo e ti documento è frutto di lungo studio e grande amore dell’ insigne cultore Luigi Jacono di Ventotene. tutta la collina che vedi… era occupata dalla villa augustea, estesa per oltre 40.000 mq. In essa c’era posto anche per un Odeon di cui è rimasta la forma nella concavità della valletta, con m31 di corda, prospicente lo stupendo panorama dell’ isola, che s’incurva di là dal mare. Aveva il noto dispositivo delle ville marittime del periodo giulio-claudiano, sulla collina configurata a terrazze. Le costruzioni sopraterra sono del tutto scomparse; rimane dell’ androne sotto la torre, alcune costruzioni visibili da parte di mare, una base ciclopica, le ampie cisterne, la forma di due sisols, lungo la strada del cimitero e la loculata piscina in pietra excisa, che Columella dice essere un esemplare molto raro. Una scala esterna, di cui si vedono le tracce, conunte presso l’ingresso del monumento marittimo di POnza, digradava dalla soprastante villa fino al livello del mare. Quivi un avancorpo di protezione reggeva delle lignee passerele che permettevano l’ingresso nel locale. Oggi non si scende più dalla sovrastante villa, perchè le vie sono state distrutte con la costruzione del cimitero.
Ci converrà, quindi tornare sui nostri passi, prendere la barca, uscire dal porto e dirigerci, con una barca del Lupo di Mare, alla punta della Madonna, verso le c.d. grotte di Pilato.”Nota che questa toponomastica volgare appiccicata al classico monum,ento, non ha alcun fondamento storico; derivò forse dal fatto che il prenome di ponzio, il Procuratore della Giudea che condannnò Gesù Cristo, coincideva col nome dell’ isola. Così l’indegno giudice di Cristo immeritamente ebbe l’onore di legare il suo nome ai grandiosi avanzi della villa augustea di Ponza “. Qui , nella barchetta, sul mare profondo, tra gli anfratti e le rocce a strapionbo, dalle forme strane e a volte paurose, ti sembrerà di sognare o di avviarti ai regni oltremondani. Aride pareti di tufo, fasciate da teneri e violenti colori, con vampate di nero, come di fuoco spento da poco, ti sovrastano. Nel turchino di certi fondali vedi la luce scherazare attravreso feritoie naturali di profondi canali.
Eccoci all’ingresso. Sostiamo senza entrare. Nota innanzitutto che dalle ricerche archeologiche è stato dimostrato che il nostro monumento marittimo è un sacro tempio marino, cui è legata una peschiera esterna installata per i bisogni della sovrastante villa imperiale. L’idea del tempio dei pesci è certo d’ importazione orientale e il tufo trachitico ha reso possibile lo scavo d’un vero complesso ictomantico sentimentale, nelle viscere di questa collina. È un MURENAIO SACRO. Di fronte abbiamo due archi uguali: quello di sinistra ha una piccola nicchiacentrale, che svolta in un canale internantesi in perfetta oscurità quello di destra c’invita in un ampio vestibolo e questo, a sua volta, in un grandioso salone, di 19 x 12 soffuso d’una tenue luce celestina. A destra, dopo una piccola abside munita d’altare, un’altra copiia di sale ci sospinge ad entrare. Ora scendiamo sul banco di tufo, a fior d’acqua, che fa da ingresso al magnifico salone. Il piede è accarezzato da un morbito tappeto di muschi, quasi da un velluto in tutte le tonalità di verde, ricamato a fiori purpurei, rosati violetti. La visione interna però ci tiene estatici: sotto una volta semicilindrica, magnificamente incurvata sulle pareti, anch’esse tappezzate d’oro veccio dalla salsedine, riluce una bella vasca rettangolare. All’imboccatura un robusto cancello doveva chiudere ai profani quest’antro misterioso. Su tutta la parete di destra osservi quanto segue: una nicchia con vaschetta quadrata e cunicolo che dispare nella roccia; nel salone un’altra tribuna d’osservazione; un gabinetto tutto chiuso per misteriosi funzioni; e finalmente in fondo un’ abside con finestrella incavata, in cui stagliava, in altorilievo la divinità esotica. A sinistra c’è una strada archivolta che mena su e che percorreremo alla fine. Tutti e tre i saloni sono uniti da una rete di cunicolui intecomunicanti e sfocianti in mare, nei tre lati della collina.
La parte più angusta non è la sala grande, ma la terza, più piccola, che hai visto, entrando nel vestibolo, dopo l’altare esterno. Ivi, fino a qualche secolo fa, si ammiravano le pareti tappezzate di preziosi marmi policromi e la volta adorna di vaghisimme conchiglie marine. Nel centro c’è ancora una base tufacea che sosteneva un marmoreo pilastro, ricordato dal Tricoli, sul quale, a fior d’acqua, campeggiava, certamente la styatua bianchissima della divinità, cui era sacro il munrenaio. E che un murenaio sacro, un santuario di pesci sacri, fosse il nostro monumento risulta dal fatto che, sulla parete di fronte al santuario, c’è un grosso finestrone, stombato in alto e orientato verso la costellazione del Dragone. Questo elemento, che dall’ ingresso della sala grande va alla vasca dell Diva, ci rivela che il corpo saverdotale immetteva le murene pescate nelle vasche esterne, dentro la vaschetta sicura, che, attraverso l’oscuro cunicolo, spingeva quei pesci fino ai piedi della divinità.Quivi avveniva il connubio misterioso tra le murene e le stelle del Drago; perchè, come dice Plinio le murene che non hanno sesso mashile, sono a nostro giudizio fecondate dai serpi. Ma qui, per esercitare l’icotomanteia, era la costellazione Drgone che le fecondava, avendo il drago celeste quattro stelle nel mezzo del corpo, al posto degli organi della riproduzione. Gli animali rarissimi, che credevasi generati da questo astrale connubio, venivano partoriti nei cunicoli oscuri, perchè alla prolicazione è necessaria, per questi pesci, una tana profonda e senza luce. Tutti i cunicoli esistenti nel complesso monumentale hanno però un piccolo marcipiede, sul quale lo shiavo addetto poteva controllare quel segretissimo fenomeno… Il sacerdote augure, invocando la divinità, chiamava i sacri pesci. Questi mollemente remando, col dorso vellutato, ornati d’orecchini auro-gemmati, affioravano nella vasca e lambivano la superfice immota. Intorno a quella s’adunavano i signori, gli ospiti, i relegati illustri della famiglia imperiale per presagire il loro avvenire o le ulteriori fasi della loro sventura. Correvano le delicate murene amangiare le leccornie loro offerte dai visitatori: erano pesciolini salati, fruta fresca, briciole di pan fresco, bocconi preferiti; e dal modo come si accostavano oppure rifiutavano con un colpo di coda le ghiottonerieofferte i relegati credevano d’interpretare i futuri eventi della loro triste sorte. I figli di Germanico, esiliati da Tiberio, sospirarono certamente e piansero in questi androni la loro sfortuna… Tra essi, la sorella Agrippina, che vi scese tante volte col piccolo Enobarbo tra le braccia, non avrà emesso, un giorno, un grido diforsennato di gioia, risalendo sulla villa, qaundo seppe che lo zio Claudio, fatta uccidere l’indegna sua moglie Messalina, liberava lei, sua nipote, dall’esilio di Ponza per sposarla e farla signora del Mondo? Non avevano auspicato a lei una tanta fortuna le murene sacre di Ponza? Il dispiacere di laciare l’Isola di Ponza non fu colmato neppure da un tale privilegio.
Oltre al complesso delle Sacre Piscine, altri monumenti antichi meritano di essere ricordati. La cella di Santa Domitilla, è sotto il piazzale della chiesa parrocchiale. Sono una sequela di grotte, ove, tra le rocce, si vede l’opera del piccone romano. La tradizione antichissima si appoggia a San Girolamo e al comento del martirologico romano Baronio. Alcuni anni or sono, per una frana avvenuta nel piazzale della chiesa, restò distrutto un ampio grottone sottostante; sulle pareti erano scolpiti nel tufo vari emblemi: palme, lettere greche, segni cristiani, il RO crociato ecc… Nle fondo della grotta apparve dopo il crollo, un’ altra grotticella lavorata da un piccone posteriore a quello romano. In questa seconda grotta è possibile vedere un giaciglio di tufo e un medaglione scolpito con una corona a tre punte: l’antica corona imperiale. In questi luoghi l’ilustre principessa strascorse il suo lungo martirio. L’acquedotto romano, ebbe a suo tempo primaria importanza per la vita dell’ isola ed ancor oggi possiamo dire che conserva la sua utilità. Dal punto iniziale del braccio del porto, ti mostro a dito ciò che resta di esso. Là di fronte, oltre lo scalo borbonico per il tiro a secco delle barche, è stato innestato nel muro un piccolo rubinetto di opttone che distribuisce l’ acqua dalla cisterna pubblica del Portone. In quei dipressi fu rinvenuto, nel secolo scorso, un colossale epistomio a chiave di chiusura in bronzo, connesso ad una fistula della portata di lt 31,28 al minuto, il tutto conservato nel museo nazionle di Napoli, sezione tecnologica antica. È chiaro che al livello del mare, nel porto, erano le navi che venivano qui a rifornirsi di quell’ elemento indispensabile alla vita, al traffico, alla guerra. La fistula pescava in una vasta cisterna, al livello del mare. Questa a sua volta, riceveva da un’altra cisterna soprastante l’acqua già riversata in essa da una terza. La terza aveva raccolto le acque piovane dai depositi scavati in superiori altezze e disposti su tutte le colline dell’ isola di Ponza. L’impetuosa massa d’acqua che trascinava con sè ciottoli e detriti, raccolta in altitudine, si veniva purificando, man mano che era decantata nei depositi immediatamente sosttostanti fino a diventare potabile al livello del mare. Nel corso Umberto, presso la Parata, è visibile uno di questi magnifici serbatoi che ancora attestano il senso pratico dei Romani.L’ ingresso, dall’ aspetto di un tempio, è a livello di strada e l’irregolarità dell’ambiente, che risalta a chi entra, è dovuta alla natura della rocia in cui venne scavato l’antro. Gli architetti dovettero pensare di adibire a cisterna una cava di tufo da costruzione, che ampliarono nel senso non ancora perforato della montagna. Questa cisterna è detta del bagno perchè i Borboni vi posero a loro tempo, il dormitorio dei forzati qui dedotti per la esecuzione del piano di colonizzazione; diventò per questo un Bagno Penale. Sotto imponenti archi a crociera, tagliati nel tufo, corrono quattro lunghissime navate, divise da tredici pilastri ricavati dallo stesso taglio. Il lateritio e l’opus reticolatumfurono ottimi mezzi per risanare e rafforzare fondi e pilastri, minacciati da sabbia, pomice o vene meno compatte di tufo. Tutta la superficie interna è ricoperta d’intonaco signino e a terra non mancano i pulvini. In questi depositi potevano essere raccolte migliaia di tonnellate di acqua.
Il Mitreo di Ponza, ci rivela come nell’ Isola veniva praticato l’antico culto solare del dio Mitra. Sotto l’antico palazzo Tagliamonte, in salita Scalpellini, si apre un vasto androne. Vasto e accogliente il tempiio ha in fondo la tipica abside semicircolare e la sua importanza religiosa ce la rilevano i rilievi astucco di squisita fattura classica che ancora restano intorno all’abside e al di sopra dell’ antico altare. La visione del perpetuo rinnovarsi della natura in relazione al moto stellare e gli aspetti del sole, nonchè il desiderio di immortalità innato nell’uomo, i fatti d’armi e le varie vicende dei popoli Iranici avevano elaborato una religione misteriosa ed umanistica insieme. Il nucleo dottrinale di questo culto può esporsi così: Mitra nasce dalla pietra, poi da una pianta. Come Dio supera il Sole, ma poi stringe un’ alleanza con esso e vi si identifica. Celbra un banchetto, in cui si mangia pane ed acqua… poi fa scaturire acqua da una rupe, immola il toroin una grotta rinnovando l’antico concetto mazdeo del Toro – Salvatore, per risuscitare gli uomini. Quanto agli antichi imperatori romani, essi non ostacolarono mai tale culto perchè facilitava il trasferimento nella persona degli imperatori di quelle prerogative orientali di sovranità divina, propie degli antichi re di Persia. L’inferiorità intellettuale e culturale del Mitriacismo, però, rispetto al Cristianesimo ne furono proprio la causa della sua sconfitta. Intorbno all’abside sono effigiati cavalli e cavalieri, nessuna traccia di iscrizioni, in alto i dodici segni dello zodiaco denotano la grandezza del mondo rispetta al sistema solare, che rinnova le stagioni. Al centro della volta c’è il segno del serpente che morde la coda, nel mezzo un toro con altra figura poco identificabile, forse un centauro, il tempo infinito secondo la speculazione astrale babilonese.